“Uscire dall’emergenza, preparare la ricostruzione”
Di seguito la relazione di apertura del Segretario Nazionale, Pierluigi Bersani, al congresso nazionale del Partito Democratico.
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Cari democratiche e cari democratici,
Cari amici e compagni,
In questi mesi abbiamo vissuto un passaggio di fase europeo e nazionale. Per ciò che riguarda l’Italia, un passaggio di fase anche politico. La cifra della nostra iniziativa è stata: prima di tutto l’Italia. Prima di tutto l’Italia non è uno slogan. E’ l’atto politico più alto e impegnativo. Noi non abbiamo messo all’angolo la politica, l’abbiamo invece messa in campo. Abbiamo semmai messo all’angolo il politicismo, la miopia, il piccolo cabotaggio, gli interessi personali, gli egoismi di partito. Saremo fedeli a questo impegno, prendendocene la fatica e i rischi. Chiedo all’Assemblea, davanti al Paese, di ribadire e rafforzare il nostro messaggio. Prima di tutto l’Italia. La crisi è seria, è molto grave. La preoccupazione ormai diffusa non deve diventare paura. L’Italia ce la farà, anche con il nostro aiuto. Questo messaggio per noi è il tratto di identità di quel Partito riformista, popolare e nazionale che stiamo costruendo.
Senza voler essere in nessun modo retrospettivi, non dobbiamo tuttavia stancarci di ricordare come siamo arrivati fin qui, per contrastare chi sta tentando o tenterà di riscrivere storia e cronaca recenti. Una riscrittura che non permetteremo.
Noi avevamo in testa l’Italia, e non noi stessi, quando per lunghi anni abbiamo denunciato il negazionismo del governo sui caratteri della crisi, sugli andamenti reali e non immaginari o propagandistici dell’economia e della finanza pubblica; quando abbiamo denunciato la paralisi di ogni politica di riforma, la micidiale distrazione della discussione pubblica dai temi veri, la incredibile predisposizione ideologica a rompere la coesione sociale e territoriale del Paese, il ripiegamento populista e la complicità attiva nell’allentamento delle politiche europee. Avevamo in testa il Paese, non noi stessi, mentre avanzavamo le nostre analisi e le nostre proposte, che andrebbero rilette oggi da chi per conformismo, subalternità o atavica idiosincrasia, lasciava correre cose che non condivideva pur di non dare ragione a noi.
E’ per l’Italia che abbiamo allora invocato un passaggio di fase politica. Sì, abbiamo lavorato con determinazione, con intelligenza e con grande unità per un governo di emergenza e di transizione aprendo questa strada ben prima che arrivasse il momento. Anche qui, non si riscriva la storia! L’alternativa a questa soluzione era solo andare avanti con il Governo Berlusconi, fino a che il disastro che si approssimava non avrebbe ribaltato traumaticamente la legislatura. Non c’era altro. Ed è questo che mi ha fatto dire, e ci ha fatto dire: non vogliamo vincere sulle macerie del Paese! E’ per l’Italia, infine, che abbiamo insistito con fermezza perché il Governo in formazione non fosse impaniato, azzoppato da equilibrismi di rappresentanza politica che non avrebbero potuto corrispondere né a una vera maggioranza parlamentare né a un sentimento condiviso del Paese. Sarebbe stata per il Governo una debolezza mortale. Si smetta dunque di far circolare l’idea, che arriva in Europa, di un cosiddetto disimpegno della politica. Per quello che ci riguarda, si può forse pensare che un Partito come il nostro, che ha fatto le scelte che ha fatto, stia scherzando? Noi ci siamo e ci saremo, ben sapendo che non tutto è nelle nostre mani e che siamo minoranza in un Parlamento che è ancora quello di quattro anni fa. Ci saremo con lealtà e trasparenza, rendendo esplicita ogni volta la nostra posizione, dicendo chiaro ogni volta quel che va e quel che non va, quel che faremmo e faremo noi di diverso; finché il Paese non si sarà allontanato dalla soglia del baratro a cui è stato portato, finché non si vedrà una luce e quindi fino alla fine della legislatura. E’ vero e lo ribadiamo: il nostro orizzonte resta più ampio. L’Italia ha bisogno di uscire dall’emergenza, sì, e di rimettersi sui binari; ma dopo questo intero ciclo economico e politico, nazionale e internazionale, un ciclo che viene ovunque a scadenza e particolarissimamente da noi, l’Italia ha bisogno di ricostruirsi sul piano democratico, sociale, civile. Questo non sarà compiutamente possibile senza una partecipazione attiva, politica ed elettorale dei cittadini; senza un progetto univoco, senza una maggioranza politica e parlamentare coerente. Le tracce di quella ricostruzione vogliamo che si vedano subito, in questa emergenza, cercando di utilizzare tutte le forze che abbiamo per mettere un nostro segno nel lavoro impegnativo dei prossimi mesi. Dissi a nome vostro, a San Giovanni, una settimana prima della svolta, in una manifestazione che ebbe un peso rilevante per la svolta: dissi che non pensavamo certo che con Berlusconi se ne sarebbero andati i problemi. Via Berlusconi, si sarebbe finalmente cominciato a reagire, a lavorare. Questo dicemmo.
Questo è avvenuto. E per l’analisi che abbiamo fatto in questi anni, non ci sorprende che il lavoro sia duro e che gli esiti non siano scontati! C’è un cammino arduo da fare e da fare su due gambe. Un passo dobbiamo farlo noi da soli e un passo dobbiamo farlo con l’Europa. Il primo passo l’abbiamo fatto con una manovra certamente molto dura; una manovra con novità importanti e positive che alludono ad una strada nuova, ma certamente pesante, e con cose da correggere (sulle pensioni ad esempio come si è cominciato a fare in Parlamento) con cose da implementare (fisco ed evasione fiscale, interventi per il sud, gli enti locali) con cose da monitorare con più attenzione (la spesa sociale, in particolare per i disabili). Continueremo a lavorarci. Ma intanto non possiamo certo fermarci a questo primo passo. Dobbiamo chiedere a noi stessi (ed è giusto che l’Europa ci chieda) di affrontare subito alcuni interventi strutturali favorevoli alla crescita: liberalizzazioni, mercato del lavoro, la giustizia, politiche industriali ed economia verde, mezzogiorno. Tutto questo è giusto chiedercelo. Ma abbiamo detto e diciamo qui ancora una volta: basta con manovre di aggiustamento! Ad un Paese che arriva (e stavolta davvero e non per finta!) al pareggio di bilancio e si mette ad un avanzo primario del 5%, non si può chiedere di più. Noi non saremmo disposti a farci trattare come la Grecia! E non saremo certo noi a produrre un avvitamento fra una recessione già pesante e manovre ulteriormente recessive. Adesso un passo dobbiamo farlo con l’Europa (non ho detto “deve farlo l’Europa” ma “dobbiamo farlo con l’Europa” noi che siamo un Paese fondatore!). Oggi, in questa Assemblea mettiamo l’Europa al centro della nostra discussione. Ci impegniamo a non distrarci mai più dal tema europeo. Il tornante che abbiamo di fronte è cruciale e drammatico. Comunque le si voglia giudicare, le agenzie di rating hanno dato una raffigurazione plastica di un problema che ormai tocca il cuore del sistema. Mentre ci si concentra, sempre e comunque sulla pur rilevante questione della disciplina dei conti, l’impostazione generale delle politiche europee seguita fin qui, ci sta consegnando assieme la recessione e un rischio reale di destrutturazione e di sgretolamento dell’Euro e dell’Europa.
Siamo al paradosso storico: la piattaforma economica più forte del mondo diventa l’epicentro del problema. Noi denunciamo a gran voce e non da oggi l’interpretazione che la destra politica europea, a cominciare da quella tedesca, ha dato e dà della crisi. Ecco la semplice verità: la bolla speculativa è scoppiata, la crisi ha coinvolto il mercato e le banche e ha poi raggiunto l’economia reale; i debiti privati si sono trasformati in debiti pubblici, i mercati finanziari appena salvati dal pubblico si scagliano contro i debiti sovrani. Che tutto questo si risolva semplicemente con una stretta nei conti di questo o quel Paese è assurdo e può solo produrre, stagnazione, recessione e ulteriori squilibri. Le difficoltà delle finanze pubbliche sono soprattutto una conseguenza delle crisi e dividere l’Europa in buoni e cattivi sta diventando un disastro per tutti. Sì, è vero, i Paesi più indebitati avrebbero dovuto approfittare dei bassi tassi di interesse che l’Euro portava, per mettere i propri conti a posto. In Italia, finché c’eravamo noi, questo lo si è fatto. Con i Governi di destra no. Detto questo, l’Euro è stato anche un toccasana per il surplus come quelli tedeschi. Inutile quindi pensare che qualcuno si salvi da solo. Mettere in comune politiche e strumenti nuovi è la ricetta che proponiamo noi, che oggi di nuovo discuteremo, e che riguarda sì la disciplina da assumere in forme credibili, ma riguarda solide e indiscutibili barriere in difesa dell’Euro, riguarda interventi per abbattere l’extra debito, riguarda strumenti comuni per gli investimenti e la crescita, riguarda il coordinamento delle politiche economiche.
Ma voglio qui proporre la domanda di fondo. Per quale motivo ciò che appare razionale ed evidente a tutti gli economisti, a tutti gli osservatori del mondo, non si traduce in fatti? Perché non viene mai dalle riunioni dei vertici europei una parola inequivocabile, rafforzata da inequivocabili fatti? Davvero pensiamo che chi ostacola questo non sappia di poterne ricevere un danno? Io non lo credo. Credo invece che in tutti questi anni sia cambiato qualcosa nella testa della gente, si sia radicato qualcosa in grandi correnti di opinione e quindi nella politica; si sia sedimentata una ideologia durissima da scalfire. Viene a scadenza un lungo ciclo in occidente e in Europa. Un ciclo in cui la finanza si è resa autonoma e ha preteso di essere alla guida e non al servizio della produzione e dei consumi, in cui si è pensato che il denaro fosse una commodity se immesso nei circuiti finanziari; che al comando ci fosse la famosa creazione di valore, cioè in sostanza quello che la finanza riesce a piazzare moltiplicando debito e gonfiando bolle; che lo spaventoso meccanismo di disuguaglianza che è derivato da tutto questo fosse efficiente e funzionale al sistema.
E viene a scadenza un ciclo in cui la globalizzazione ha dispiegato i suoi effetti, dando opportunità nuove e creando meccanismi acquisitivi in molte aree dl mondo, ma anche destabilizzando in profondità le acquisizioni europee, il modello sociale europeo. Siamo dunque alla scadenza di un ciclo, senza che il nuovo orizzonte sia ancora ben chiaro. Ci accorgiamo drammaticamente che si è sedimentata una ideologia che banalizzerei così: in economia i mercati hanno sempre ragione. In politica ha ragione chi prova a salvarsi da solo perché è sempre meglio di un altro nazione, territorio, corporazione, o individuo che sia. Le destre hanno vinto su questo, e se hanno fallito alla prova dei risultati, ciò nonostante il ricatto populista che le condiziona è sempre vivo e vegeto. Quell’umore populista vive ancora ovunque. Vive in Finlandia, in Ungheria, in Francia, in Germania ovunque. O pensiamo davvero che anche in Italia la Lega sia scomparsa? O pensiamo che questi umori difensivi e di ripiegamento non condizionino in tutta Europa formazioni di destra, e di centro democratico, e perfino di sinistra? In realtà la partita è drammaticamente aperta in Europa e in Occidente e non si può affidarla solo alle riunioni a Bruxelles. C’è una battaglia politica, culturale, ideologica da fare. Bisogna accumulare risorse politiche per il rilancio dell’Europa. Senza questo, sarà sempre possibile che un tedesco accetti consapevolmente di rimetterci pur di non rischiare di dare un Euro all’italiano indisciplinato (così come peraltro un leghista lombardo non vuole bruciare i rifiuti di Napoli nel suo inceneritore sapendo bene di rimetterci dei soldi. Non si vive di solo pane, si vive anche di mentalità!).
Ecco allora il lavoro di costruzione di una piattaforma dei progressisti europei che sconfigga conservatori e populisti nei confronti elettorali aspri e incerti che si annunciano! E stavolta non si può certo giocare sull’abbellimento o l’attenuazione di proposte altrui. Stavolta bisogna essere alternativi! Le idee ci sono. Il documento SPD – Verdi del 12 dicembre ed altri documenti e posizioni emersi in questi tempi dalle forze progressiste, lo certificano. Sono idee largamente collimanti con le nostre. Noi stessi, in casa nostra, lavoriamo per fare in modo che l’opinione pubblica italiana possa alzare lo sguardo e leggere il senso di questo passaggio. Come può essere il mondo dopo la destra? Come può essere l’Europa dopo la destra? Qual è davvero la via d’uscita dalla crisi? Alzeremo noi stessi lo sguardo, anche arricchendo il nostro piano di lavoro, come dirò in conclusione, ma sento che al dilà delle analisi e delle proposte, noi riformisti, noi che siamo così razionali dobbiamo metterci un po’ di anima in più, un po’ di sdegno in più. Dobbiamo dire cose che si capiscano, che facciano intendere che noi siamo da un’altra parte rispetto a quello che si è visto fin qui. Voglio leggervi una pagina di un libro uscito recentemente, un libro scritto non da un indignato ma da Carlo Azeglio Ciampi.
Una nostra impostazione marcata, combattiva, alternativa non ha niente di incompatibile con una chiave riformista. Chi pensasse questo avrebbe una visione davvero riduttiva del cambiamento che è in corso. Una impostazione così non ci impedisce di compiere i piccoli passi. Ad esempio non ci impedisce oggi di ricercare una posizione nazionale sui temi europei assieme alle altre forze parlamentari, così da aiutare il Governo italiano ad ottenere interpretazioni acconce e sensate di impegni sul debito avventatamente sottoscritti; così da aiutare il Governo italiano, anche in affiancamento alle posizioni del Parlamento Europeo, ad ottenere passi avanti credibili sul fondo salva stati, sul ruolo della BCE, sulla tassazione delle transazioni finanziarie, sulla prospettiva degli euro bond e così via. In buona sostanza dobbiamo convincere gli amici europei che le mezze parole e i mezzi passi non servono più. O il mondo percepisce che l’Europa fa davvero sul serio o a questo punto si possono risparmiare anche le riunioni.
Care democratiche, cari democratici,
Cari amici e compagni,
dobbiamo avere piena consapevolezza che la crisi è seria e pericolosa davvero. Dobbiamo avere piena consapevolezza che sarà un anno molto difficile per il Paese. Dobbiamo avere piena consapevolezza che anche sul piano politico, per noi non saranno rose e fiori. Chiedo dunque a tutto il gruppo dirigente impegno, unità e tenuta davanti alle difficoltà che verranno. Prima di passare al tema politico, partiamo come nostro costume dal tema economico e sociale. In una situazione già difficile avremo mesi di riduzione ulteriore delle attività economiche e difficoltà ulteriori per l’occupazione. I dati ISTAT di ieri sono impressionanti. Le crisi industriali si stanno moltiplicando e spesso coinvolgono pesantemente interi territori. Non posso farne l’elenco, qui. Un caso per tutti: l’ALCOA e il Sulcis. C’è un rischio reale di dispersione di una parte delle capacità produttive storiche del Paese. Dall’altro lato la crisi di liquidità e l’indebolimento dei consumi, mettono in serissima difficoltà le piccole imprese che operano sul mercato nazionale. Tante ne saltano, tante sono con l’acqua alla gola. Le banche non vengono a soccorso, hanno i problemi loro, legati a filo doppio coi problemi del debito pubblico. Vi sono nuove zone di povertà che non vengono intercettate, soglie vitali di reddito che vengono via via mangiate da una inflazione che rialza la testa. Tutto questo raddoppia di intensità nel Sud. Tutto questo colpisce e limita in particolare le prospettive di lavoro di vita delle donne e dei giovani. Non ho modo qui di andare più a fondo di queste drammatiche questioni né di riassumere o elencare i possibili interventi di contrasto. Voglio da qui semplicemente rivolgere una accorata sollecitazione al Governo. Si attrezzino rapidamente strumenti, task force, sedi di monitoraggio coi soggetti sociali e le istituzioni regionali e locali per seguire i punti critici. Il tavolo del lavoro e quello delle Istituzioni potrebbero essere i luoghi in cui mettere a punto i presidi dell’emergenza che certamente vivremo quest’anno. Più in generale, lo ripeto ancora, è la solidarietà la materia prima della coesione e del necessario sforzo comune. Solo mettendo i riflettori sulle condizioni più difficili possiamo sentirci comunità e rendere prevalente un sentimento di partecipazione, di equità, di impegno. Bisogna insomma dare un senso a questo passaggio. Io sono convinto che in queste settimane, con il nuovo Governo, il Paese abbia percepito finalmente verità e competenza.
Cerchiamo di accompagnare verità e competenza con il calore della solidarietà. Coesione e cambiamento. Ci vogliono entrambi. Guai se ci fosse contrapposizione. Nel nuovo clima, non è stato così difficile ottenere quel che sembrava irrimediabilmente perduto e cioè l’unità del mondo del lavoro e l’apertura di un tavolo di relazione e di riforma fra Governo e Parti sociali. Anche in Parlamento si discute di merito. Non è stato impossibile, ad esempio, introdurre alcune prime giuste correzioni alle norme sulle pensioni. Queste risorse di consapevolezza e di responsabilità devono essere messe a servizio del cambiamento e il Governo deve stimolarlo. Abbiamo visto, seppur sommariamente, le norme per le liberalizzazioni. Un progetto lodevole e importante su un tema a noi carissimo, convinti come siamo che per quella via si possa aprire qualche strada ai giovani e si possa battere la speculazione sui prezzi. Ci sarà consentito tuttavia dire che su diverse materie si può fare di più e meglio e con maggiore immediatezza. Mi riferisco in particolare a quelle materie che incidono direttamente sulle tasche dei cittadini, dei pensionati, delle famiglie numerose; parlo quindi di farmaci, parafarmaci, di gas, di assicurazioni e banche, di servizi professionali. Per fare un solo esempio se si pensa ch ei prezzi di farmaci e parafarmaci possano scendere allargando un po’ il numero dei monopolisti ci si sbaglia di grosso, ma di grosso davvero. Mi fermo qui. Torneremo a discuterne in Parlamento.
La riforma del mercato del lavoro è finalmente consegnata al dialogo sociale e noi abbiamo dato, come era nostro dovere, un contributo serio. Unici a farlo! Noi ci appassioniamo, discutiamo e decidiamo. Gli altri non battono un colpo. Capita poi che ci descrivano confusi e divisi! Non dobbiamo preoccuparcene. Ci vuole pazienza e costanza. Anche in questo caso il nostro contributo c’è e si sta già rivelando un contributo vero, che pesa, laddove attacca i vantaggi di costo dei lavori precari, dove disbosca la giungla contrattuale, dove razionalizza e qualifica il percorso di ingresso e di reingresso. Abbiamo una proposta precisa anche sulla riforma degli ammortizzatori. Ma sottolineiamo anche qui l’esigenza di non distrarci dall’emergenza, quella cioè di finanziarie le indennità in scadenza! Vorrei che questa nostra Assemblea affidasse a quel tavolo anche il ripristino della norma contro le vergognose dimissioni in bianco, vorrei che gli affidasse la questione della democrazia nei luoghi di lavoro, valorizzando gli accordi del 28 giugno; che gli affidasse un modello di assetto contrattuale per i settori liberalizzati, che ampi le possibilità della contrattazione aziendale senza distruggere una essenziale base comune di presidio delle condizioni dei lavoratori, così come si fece nelle migliori esperienze di liberalizzazione.
Sarà bene tuttavia ribadire che liberalizzare è importante, che riformare e civilizzare il mercato del lavoro è importante, ma che non è sufficiente per creare lavoro. Bisogna essere molto concreti ed esserlo subito, così che i mesi della difficoltà che abbiamo davanti siano anche i mesi della speranza e della prima riscossa. La riscossa non può essere la fase tre. Bisogna cominciare da subito a fare qualcosa per dare lavoro. C’è bisogno che le risorse meritoriamente recuperate per il Mezzogiorno vengano adesso rapidamente attivate. C’è bisogno di un programma di economia verde. Nei giorni scorsi il PD ha presentato a questo riguardo proposte precise. C’è bisogno di una deroga selettiva dal Patto di stabilità degli Enti locali così da sollecitare investimenti e garantire un po’ di pagamenti. C’è bisogno di politiche industriali attive su nodi essenziali del sistema produttivo e delle reti. Si trovi il modo attraverso il quale Cassa Depositi e Prestiti, invece di girare attorno alle banche, possa essere resa utile ad una riscossa industriale a cominciare dalle infrastrutture moderne. Ci vogliono insomma iniziative per ridare fiducia ad un sistema produttivo che è in difficoltà, ha scarsissima visibilità sul futuro e può quindi ripiegare nella sfiducia. E se servono un po’ di soldi per queste iniziative, questi soldi si trovano.
Vengo ora ai tratti politici di questo passaggio di fase. Ho accennato prima ad un quadro generale che riguarda l’Europa e l’Occidente in cui si è ancora in bilico fra il rincrudimento di spinte populiste disgregatrici che condizionano le forze in campo e il formarsi di una iniziativa dei progressisti. Questo confronto sembra spesso avvenire in una sorta di campana di vetro, da cui sono fuori milioni e milioni di cittadini. Ovunque viene segnalato un distacco fra politica, istituzioni e cittadini. Un distacco che sembra crescere pericolosamente. Tutto questo da noi si presenta in modo rafforzato e peculiare fino al punto di mettere in dubbio a volte se il conflitto sia fra centrodestra e centrosinistra o fra politica e antipolitica. Bisogna sgombrare il campo da questo dubbio. Non risolviamo il problema inalberando orgogliosi vessilli contro l’antipolitica. Lo risolviamo con una politica che sa ripristinare la sua dignità e con un PD che non si lascia mettere nel mucchio e che interpreta il cambiamento! Agli occhi dei cittadini, una politica che dopo anni e anni non riesce ad aggiustare il problemi a casa sua è disprezzabile e disprezzata. Qualcosa di significativo si è cominciato a fare sui costi della politica e sulla pletora amministrativa. Bisogna andare avanti, servono ulteriori decisioni. Serve altresì che le decisioni diano razionalità al cambiamento e stiano al di qua della demagogia. Per capirci è bene cambiare radicalmente fisionomia alle Province, ma bisogna anche capire chi si carica dei loro mutui! Le improvvisazioni possono diventare boomerang! Ma quel che più importa dire, con voce forte, da questa Assemblea è che nello scorcio di legislatura che rimane bisogna mettere mano alle riforme istituzionali ed elettorale. Anche qui, noi le proposte le abbiamo, e su ogni singolo punto: bicameralismo, riduzione dei parlamentari, regolamenti parlamentari, legge elettorale. Ribadiamo la disponibilità a renderci flessibili per la necessaria discussione con gli altri. Abbiamo consegnato al Presidente della Repubblica un fermo, onesto ed esigibile impegno politico. Ringraziamo il Presidente della Repubblica per l’iniziativa di sollecitazione che ha assunto nei confronti del percorso di riforma. Sopra ogni altra cosa, e rendendoci conto della ristrettezza dei tempi, abbiamo rimarcato l’indispensabilità di una riforma elettorale che la spinta referendaria ha in ogni caso e ancora una volta certificato. Ribadiamo con forza che la legge attuale è inaccettabile per due motivi: per l’impossibilità del cittadino elettore di scegliere i parlamentari e per un parossistico meccanismo maggioritario che consente a chi giunge al 34% di fare tutto, compreso eleggere il Presidente della Repubblica. Io dò per assunto che nella malaugurata ipotesi che si arrivasse a votare con la legge attuale, e tenendo comunque conto di esigenze di equilibrio di genere, di territorio e di essenziali competenze, noi faremo le primarie per i parlamentari. Lo dò per assunto, ma non intendo che la discussione si focalizzi su questo. Non possiamo in nessun modo indebolire o oscurare l’assoluta esigenza di cambiare questa legge. Non possiamo distrarci da questo obiettivo. Infatti qui è in gioco non solo la democrazia del PD, che c’è e ci sarà, ma la democrazia italiana. Non siamo qui per fare la democrazia in un partito solo. Siamo qui per l’Italia. Prima di tutto l’Italia vale anche per questo. Il diritto di ogni cittadino a scegliere il suo rappresentante è un punto cruciale per la democrazia italiana.
Dobbiamo inoltre cogliere ogni occasione per mostrare concretamente che mentre affermiamo il ruolo della politica, noi conosciamo i limiti della politica. Ad esempio ho detto e ripeto qui che se si pensasse, alla scadenza del consiglio di amministrazione della RAI, di ribadire il Cencelli invece di fare la riforma della governance-RAI noi non parteciperemmo. Facessero loro, prendessero loro la responsabilità della progressiva distruzione di una grande azienda pubblica. Ruolo e limiti della politica. Li abbiamo e li avremo chiari entrambi. O si pensa forse, in questo stucchevole dibattito fra tecnica e politica, che nel prossimo governo tornerà il Cencelli o che al posto delle competenze ci saranno le incompetenze, o al posto di donne che contano ci saranno donne che non contano purché ci siano? Non sarà così. Garantiamo noi che non sarà così.
Teniamo dunque il profilo del cambiamento. Facciamo in modo che in questo periodo si veda la nostra responsabilità e si senta la nostra voce.
La destra non è scomparsa. L’elettorato della destra non è scomparso. Abbiamo visto alla Camera sul caso Cosentino una inquietante solidarietà tra PDL e Lega e il riaffiorare di vecchi patti, a quanto pare, inscindibili. Allora è vero che l’autonomia della Lega non c’è più! Allora è vero che non era solo questione di un patto di maggioranza! Adesso la maggioranza non c’è ma la complicità è rimasta! Tutta l’autonomia della Lega, in una vicenda trentennale, si è via via ridotta ad un po’ di xenofobia e ad un po’ di soldi per le quote latte. Per il resto, a rimorchio del miliardario, sperando magari che Berlusconi si decida a fare cadere il Governo, così da tornare al vecchio patto, così da avere un ruolo a Roma, che sarà anche ladrona ma che resta piuttosto accogliente!
Del resto qualcuno nel Popolo delle Libertà non è sordo a quell’appello. Il Popolo della Libertà vive con un certo disagio questa fase. Lo si può capire. Qui non voglio fare polemiche retrospettive. Al Popolo della Libertà noi diciamo: attenzione. Voi, in compagnia della Lega, ci avete portati dopo otto anni di governo al punto in cui ci siamo trovati. Avete fatto tutto voi, avendo governo e una maggioranza di proporzioni inedite. Tenete ben conto delle responsabilità che avete in questa vicenda e della responsabilità che vi si chiede. Questo è un Governo di impegno nazionale davanti al quale ciascuno risponde del suo impegno, con trasparenza, davanti al Governo e soprattutto davanti all’Italia.
Parliamo di noi, adesso. Per quel che ci riguarda la nostra proposta politica rimane ferma e chiara: un patto di legislatura fra forze progressiste e moderate per una ricostruzione della politica e delle istituzioni, del patto sociale e civile del Paese. Abbiamo pronte un buon numero di riforme per dare concretezza a questo patto. In questa fase nuova e cruciale ci rivolgiamo amichevolmente a tutte le forze del centrosinistra e diciamo: questo passaggio di responsabilità verso il Paese coinvolge noi, che siamo la forza principale, ma interpella tutti. Riconosciamo le posizioni di ciascuno, più o meno critiche; non pretendiamo certo che nel centrosinistra ci sia una voce sola e cioè la nostra! Ma siamo certi che nessuno potrà pensare di prendere alle spalle il PD in un passaggio delicatissimo del Paese, perché tutto poi torni semplicemente come prima. L’idea che prima di tutto c’è l’Italia e che non si vince né sulle macerie né a qualsiasi prezzo, non è per noi una idea occasionale! Vale oggi e varrà per il futuro! Non si vince sule macerie, non si vince a qualsiasi prezzo. Confermo qui, con questa trasparenza e chiarezza la nostra scelta per un centrosinistra di governo che si apra al confronto con realtà moderate e civiche che non accettano la deriva populista della democrazia italiana. E’ questa l’attitudine generale con cui andiamo all’appuntamento delle amministrative: a servizio di un larga riscossa civica e valorizzando momenti di partecipazione che consentano il protagonismo dei cittadini nella scelta dei candidati e dei programmi. Da questo week end parte il ciclo delle primarie in tutte le città italiane che andranno al voto. Stiamo lavorando ovunque per incoraggiare la massima partecipazione.
Infine, il PD.
L’anno che abbiamo alle spalle non è stato certo senza risultati. Abbiamo vinto le amministrative, abbiamo mandato a casa Berlusconi, siamo diventati stabilmente il primo Partito del Paese.
Ma io sono più orgoglioso di quello che abbiamo seminato piuttosto che di quello che abbiamo raccolto. Sono infatti fermamente convinto che se seminiamo bene potremo fare ancora di più e meglio. Abbiamo messo in funzione quasi ovunque (ma non ovunque purtroppo) organismi dirigenti funzionanti; abbiamo fatto dei passi per mettere meglio in equilibrio la discussione aperta con l’identità e l’unità del Partito, abbiamo operato per rinverdire i nostri valori e le nostre motivazioni culturali, etiche e religiose; abbiamo fortemente accresciuto la capacità di progetto e di proposta oggi preziosissima; abbiamo ripreso molti contatti con i mondi reali della vita sociale e civile; abbiamo avviato sperimentazioni che possono avere un esito strutturale (la formazione per un anno di duemila giovani del mezzogiorno, l’allestimento di una rete dei circoli, lo sviluppo e il miglioramento delle nostre feste, una bella rivista online e così via). Abbiamo cioè determinato potenzialità da mettere a frutto. Di queste potenzialità, voglio indicarne una sola: la ripresa del tema del Mezzogiorno che può collegarci in forme nuove all’idea dell’unità del Paese. Tocca a tutti noi coltivare questa prospettiva, ad esempio sui temi della legalità. Credo che abbiamo capito tutti, a questo punto, che la grande criminalità non è solo al sud, che i problemi sono anche la nord, che non possiamo lasciare solo chi è esposto su questo fronte. Fra nord e sud in mille forme possibili dovremo organizzare il ponte della legalità.
Nell’anno del dopo Berlusconi il nostro Partito non andrà certo in vacanza. Ci muoveremo con un programma di iniziative che coinvolgerà il Partito dal centro fino ad ogni circolo. Abbiamo un posizionamento politico e un progetto che ci consente di essere interlocutori di chi subisce di più la crisi e di chi si muove per affrontarla. Investiremo su questo. “Incontriamo l’Italia” sarà il titolo di questo nostro programma, che ci consentirà di incontrare in ogni luogo realtà sociali, produttive e culturali, autorità morali, movimenti; ascoltando e promuovendo proposte e iniziative. Comincerà il Segretario Nazionale e lo faremo tutti mettendoci l’impegno e la fantasia necessari. Lavoreremo allo stesso tempo per rafforzare il nostro pensiero e la nostra analisi con un programma proposto dal nostro Ufficio Studi. Chiameremo le migliori intellettualità italiane e non solo per illuminare la fase che si apre. “Il mondo dopo la destra” come dicevo. Continueremo, con ulteriori appuntamenti, la costruzione della piattaforma dei progressisti europei. Rafforzeremo la nostra iniziativa rispetto alle prospettive che si muovono sull’altra sponda del Mediterraneo, mettendo a frutto collegamenti che abbiamo via via costruito.
Mi fermo qui. Voglio concludere. Mi è già capitato di dire che il percorso nuovo che si è aperto sarà il nostro vero battesimo. Questa fase ci dirà se gli italiani potranno davvero percepire, convincersi che c’è una grande forza riformista solida e stabile al servizio del Paese e che vale la pena di ascoltare quello che questa forza dice a proposito di una strada nuova per la nostra democrazia e la nostra società.
Solidità e tenuta, solidarietà fra noi ovunque e in ogni luogo, onestà e rigore, combattività, progetto riformista per l’Italia. Non passiamo il tempo a guardarci dal lato dei difetti. Il solo modo per correggerli è essere sicuri che noi siamo più forti delle nostre debolezze e dei nostri limiti, che l’Italia ha davvero bisogno di noi.
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